Oggi si celebra la Giornata Mondiale dell’Alimentazione. Uno degli obiettivi della FAO è Fame Zero entro il 2030: prevede che tutti abbiano cibo sufficiente e che le abitudini alimentari siano sane perché, come si suol dire, siamo ciò che mangiamo. Secondo le stime, in realtà, siamo già in grado di produrre tutto il cibo che serve, il problema enorme sta nello spreco giornaliero lungo tutta la filiera: circa il 14% della produzione va perso ancora prima di arrivare alla distribuzione. E se il cibo che consumiamo è nutriente, ma è stato coltivato utilizzando troppi fertilizzanti o pesticidi, non sarà altrettanto nutritivo né per noi né per i suoli e l’acqua che li assorbono. I metodi di coltivazione del nostro cibo devono cambiare per garantire risorse sufficienti per il futuro (quando ci saranno molte più bocche da sfamare) e che il pianeta non ne risenta.
Quello che mangiamo, infatti, incide sulla nostra salute, ma anche sulla salute del pianeta: agricoltura e allevamenti intensivi consumano suolo fertile, rilasciano nell’ambiente notevoli quantità di CO2, inquinano terreni e falde acquifere con pesticidi e antibiotici, contribuiscono all’eutrofizzazione delle acque, riducono la biodiversità compromettendo il futuro del pianeta.
Noi cosa possiamo fare per incidere positivamente su questi aspetti?
Consumare locale. Filiera breve significa meno trasporti, quindi meno inquinamento, ma anche mangiare cibo di stagione. Ciò dovrebbe comportare un minor utilizzo di pesticidi e una maggior concentrazione di micronutrienti nei prodotti cresciuti al ritmo della natura.
Mercati agricoli, aziende con vendita diretta e possibilità di visita alle coltivazione, reti social di condivisione e scambio di eccedenze tra privati: le possibilità stanno aumentando anche grazie alla consapevolezza crescente dei consumatori, un cambio di rotta che speriamo si diffonda sempre più!
Meno carne, ma di qualità. La sempre maggior richiesta di carne da parte dei paesi in via di sviluppo ha condizionato le tecniche di allevamento esasperando velocità di crescita, alimentazione e terapie sanitarie dell’animale. Tutto ciò a scapito del benessere animale e quindi della carne che noi mangiamo.
Si può scegliere di vivere bene senza carne, questo non comporta alcuna carenza nutrizionale se la dieta viene correttamente pianificata, o scegliere di mangiare meno carne puntando sulla qualità. Cosa significa? Scegliere solo carne ottenuta da bestie allevate libere al pascolo d’estate e nutrite di solo fieno d’inverno (oggi di moda il termine “grass fed”). Costa di più? Certo, perché offre di più. Dovremmo preoccuparci quando il cibo costa troppo poco…
Mangia più legumi. Lenticchie, ceci o fagioli sono un’ottima fonte di proteine, vitamine e fibre e sono poveri di grassi e sale. La loro coltivazione richiede poca acqua e fanno bene anche ai nostri terreni per la loro capacità fertilizzante di fissare l’azoto. Talvolta la difficoltà nell’assunzione dei legumi è legata alle problematiche digestive dovute alla fermentazione delle loro fibre: assumetene piccole quantità iniziali, eliminando inizialmente le bucce con il passaverdura, e aumentatele gradualmente nel tempo per adattare il vostro intestino a questo nuovo alimento.
Pianificate il menù settimanale. Decidere in anticipo il menù della settimana semplifica notevolmente la vita per almeno due buoni motivi: non dovrete più trovarvi ogni giorno a chiedervi davanti a frigo e dispensa “oggi cosa cucino?” e con la lista della spesa gli acquisti saranno più precisi riducendo lo spreco.
Tutto questo ridurrà notevolmente la vostra impronta ecologica (dall’inglese FoodPrint), ossia la quantità di CO2 prodotta per la produzione, il trasporto, lo stoccaggio, la vendita e lo smaltimento dei rifiuti dei cibi che sceglierete.
Iniziate da qui: acquisti più oculati basati sulla pianificazione, ricerca di realtà agricole biologiche vicine a dove vivete, premiate la biodiversità acquistando varietà antiche, inserite i legumi una volta in più a settimana al posto della carne. Già questo sarebbe un enorme cambiamento per il pianeta se lo facessero miliardi di persone. Se poi siete curiosi di saperne di più, e volete calcolare la vostra impronta ecologica, andate nel sito www.foodprint.org.